Racconto di natale di Giacomo Mozzi

Inverno.

Cade la neve anche questa notte, una sera come le altre, una sera delle tante. Percorro la strada che mi porta verso casa alla stessa velocità di sempre senza pensare a niente. Passo l’angolo dove il panettiere solitamente sforna il pane, ma è ancora presto per il suo lavoro e forse domani non lavorerà a meno che non abbia una consegna urgente di panettoni da portare a qualche famiglia. Continuo il mio cammino ed un signore mi tagliala strada, non l’avevo neanche visto, non è molto illuminata questa strada. Per terra c’è un biglietto ed un cappello, un bel cappello di quelli da uomo che vedi in testa in inverno solo ai signori quando attraversano il corso principale o sono dentro ai bar più prestigiosi a sorseggiare un amaro caffè. Prendo il cappello ed una folata di vento fa volare il piccolo foglietto poco più avanti proprio sotto ad un lampione, dove, una volta raccolto, lo posso leggere ” restituiscimi” è la scritta. “Che diamine – penso – come faccio a restituirti se non so di chi sei!” E mentre metto il biglietto dentro al cappello mi viene in mente il signore che mi aveva tagliato la strada; “potrebbe averlo perso lui!” Esclamo, allora passo dall’altra parte del marciapiede e provo a vedere se lo scorgo tra un fiocco ed un altro. La direzione dovrebbe essere giusta, percorro almeno 500m senza intravedere nessuno, poi passo nella piazza principale, guardo la superficie della statua innevata dai fiocchi che continuano a cadere attraverso le guglie del duomo, con un grande albero addobbato a fianco e l’illuminazione della galleria ad attirare l’attenzione. Nell’aria si sente qualche canto natalizio ed inizio a pensare che sarebbe meglio tornare a casa. Guardo nell’ansa del cappello per vedere se trovo qualche dettaglio grazie alla luce del porticato adiacente alla galleria. Un indirizzo, è quello dove é stato prodotto il cappello, é qui vicino. Arrivo velocemente al negozio di cappelli, senza grande speranza di trovarlo aperto, visto l’orario, ma stranamente le luci sono accese, la porta è chiusa, ma con un biglietto vicino alla maniglia ” Suoni pure”. Il campanello ha un suono gradevole, una signora sale le scale che molto probabilmente portano ad una specie di cantina e mi apre la porta ” Buona sera e buon Natale” mi dice.

Preso un po’ alla sprovvista le rispondo ” Buon Natale, grazie, sono qui perchè ho trovato questo cappello e c’è il vostro indirizzo, mi domandavo se poteva essere vostro?”

Oh si è nostro, ci stavamo domandando quando sarebbe tornato, prego si accomodi, vuole qualcosa da mangiare?” Mentre stavo per spiegare alla signora che dovevo tornare a casa dalle scale spunta un ometto non tanto alto che con aria molto compiaciuta mi si avvicina guardando il cappello. ” L’ho fabbricato per un ricco industriale – spiega l’omino – veniva spesso in galleria a prendere un caffè e si fermava sempre ad ammirare i cappelli in vetrina ed un giorno si è deciso ad entrare. Con una voce impostata si è presentato e mi ha chiesto se potevamo fare dei cappelli su misura. La mia risposta fu ovviamente che era capitato nel posto giusto, ma non volle che gli misurassi la testa, mi disse che si sarebbe fatto vivo lui prima di Natale. I giorni passarono ed arrivò l’inverno e di questo signore niente. Un giorno, verso metà dicembre entrò in negozio con tanta stoffa pregiata, come non ne avevo mai vista in vita mia e un foglio di carta con segnate le dimensioni della testa di tante persone. Rimasi stupito”

L’omino si era bloccato ed i suoi occhi erano passati dal fissare il cappello a fissare i miei occhi curiosi di sapere come finiva questa storia.

” Bhe feci circa 50 cappelli e mi avanzò tantissima stoffa, il signore voleva vedere come procedeva il lavoro e di tanto in tanto mi raccontava della sua storia d’industriale, come è riuscito a superare la crisi ed ora voleva fare questo regalo ai suoi operai che grazie a loro la ditta era sopravvissuta. Una volta consegnati i cappelli mi pagò il lavoro e mi fece tenere la stoffa dicendo di produrre un cappello ogni anno nel periodo di Natale e di raccontare questa storia a chi l’avesse riportato a questo negozio. Oltre a questo mi disse di abbinare anche un alberello, un abete, come simbolo di rinascita ed unione, non l’ho più visto. Questo è il secondo cappello che torna e questo è il suo alberello, da portare alla sua famiglia, lo tratti bene!”

Molto perplesso presi l’alberello, ma non potevo accettare il cappello. L’omino allora mi disse: ” Vede la persona che mi ha riportato il primo cappello è stato mio figlio, il quale non sapeva la storia ed una volta ricevuto il cappello e l’albero ogni anno racconta questa storia con un po’ di umanità ai suoi figli, senza pregiudizi, perché prima di essere lavoratori siamo cittadini e prima ancora persone con una dignità.” Ringraziai, uscì dal negozio, mi incamminai verso casa, il cappello riparò la mia testa dalla neve, arrivato a casa i miei due figli dormivano, mia moglie mi chiese dove ero finito e le raccontai tutto, insieme piantammo l’alberello in una piazzetta adiacente a casa nostra e mettemmo qualche pallina presa dal nostro. Così fecero altri cittadini ed altri ancora, l’albero di anno in anno cresceva con varie persone che se ne prendevano cura e così anche il numero di palline. In questa città ora ogni famiglia aveva più alberi per Natale e venivano addobbati da bambini diversi con elementi sempre diversi. Senza volerlo con un piccolo gesto era stata creata una tradizione nella tradizione, libera, senza vincoli, solo il coraggio di poter mettere qualcosa a disposizione di tutti.

Il mio augurio quest’anno è che all’interno dei nostri molteplici problemi si riesca a creare qualcosa per tutti, non una banale tradizione imposta, ma una tradizione nella tradizione che venga sentita sempre da più persone dove l’unica prerogativa è la propria umanità.

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