Stefano aveva 7 anni….

Stefano aveva 7 anni, era un bel bambino intelligente, frequentava la scuola e apprendeva con facilità. La mamma, nel frattempo era rimasta incinta e Stefano, solo all’idea di dover dividere gli affetti con un altro marmocchio, aveva cominciato a balbettare. Questa almeno era l’interpretazione che davano i medici e gli psicologi. Questa tesi venne confermata quando, nata Sara, la sorellina tanto attesa, Stefano aveva preso ad inciampare soprattutto quando il percorso non era ben illuminato e la balbuzie peggiorava notevolmente. Iniziarono gli esami, quelli del sangue, degli aminoacidi, gli enzimi, anche la TAC. La tesi psicologica si andava affievolendo, ma il nervosismo si era diffuso in tutta la famiglia e gli specialisti, in assenza di reperti significativi, ad eccezione dell’andatura sempre più incerta e del linguaggio che nel frattempo era scomparso, brancolavano nel buio. Il Prof Gaetano Pasquinucci, pediatra illustre, era convinto che si trattasse di una malattia “organica” (si definivano così i quadri dovuti a malattie genetiche o degenerative) e si rivolse ai suoi colleghi del Gaslini.

Iniziò il periodo dei ricoveri lunghi, interminabili, in cui si susseguivano indagini ed ipotesi diagnostiche. Il tempo passava, il quadro clinico peggiorava, la diagnosi tardava. Il pellegrinaggio portò Stefano e la madre fino a Milano, all’ Istituto Neurologico “Besta”.

E se si fosse trattato di una malattia ereditaria?

Passarano alcuni anni dall’esordio dei sintomi alla diagnosi: Sindrome di Hallervorden Spatz, malattia dal nome impronunciabile, genetica e trasmissibile. Nel frattempo Stefano aveva smesso di camminare e di parlare. Il suo aspetto appariva sempre più emaciato, la spasticità dei muscoli diveniva più grave. Eppure il suo cervello continuava a girare e la sua voglia di comunicare non si affievoliva. Stefano e la madre iniziarono a comunicare attraverso un linguaggio di segni e di espressioni assolutamente convenzionale e non c’era desiderio, bisogno o sofferenza di cui la madre non fosse consapevole.

Si guardavano, scambiavano pochi cenni ed ecco che la madre traduceva “Stefano ha detto che quando muore vuole donare il suo cervello all’ Istituto Neurologico Besta, perchè possano studiare la sua malattia ed essere di aiuto ad altri”. Gli astanti restavano ammutoliti ed increduli.

Sara cominciò ad essere tenuta sotto osservazione: anche lei bella, intelligente, capricciosa a volte come le bimbe della sua età, permalosa, ma incredibilmente allegra e felice. Passarono altri 6 anni.

Anche in Sara si palesarono segni di incoordinazione motoria, vale a dire che i movimenti non erano più così fluidi, esteticamente  belli, atletici, ma rigidi, incerti, tozzi.

Questa volta non fu difficile arrivare una diagnosi. La TAC al cervello dimostrò una lesione nelle aree sottocorticali del cervello, una lesione inconfondibile che i radiologi chiamano “segno dell’ occhio di tigre”, per l’accumulo di ferro, quella stessa che era stata trovata anche nelle lastre  di Stefano.

La madre non ha mai voluto l’aiuto di  nessuno nella gestione casalinga quotidiana dei bimbi, solo degli amici dell’associazione che aveva creato, l’ALDEI (associazione lotta alle distonie evolutive infantili) ma non ha fatto mai mancare nulla alle sue creature, nemmeno la maglietta della squadra preferita da Stefano né un indimenticabile viaggio a EuroDisneyland, desiderato da Sara.

La malattia di Hallervorde- Spatz è una condizione rara che spesso resta per anni senza una diagnosi. Qualcuno potrebbe chiedere: “Ma se la malattia è incurabile ed inesorabile (i due ragazzi morino a 21 anni il primo, a 18 la seconda) a che sarebbe servita la diagnosi?

La diagnosi non è uno sfizio del medico, un ‘esibizione di bravura, è invece una necessità perchè  consente di conoscere la storia naturale di quella malattia,  permette di confrontare la tua malattia con quella di altri, di proporre una terapia efficace ed infine,  di prevenire che altri bambini nascano con la stessa grave disabilità ed una vita breve.

Così è stato anche per un’altra famiglia versiliese in cui i figli affetti sono addirittura 4: è questo il caso della sindrome dell’ X fragile, che determina un ritardo mentale importante e spesso gravi problemi comportamentali.

Recentemente una donna, gravemente scoliotica, che vive in carrozzina sin dall’ infanzia, che non comunica con le parole e che non è in grado di tenere un oggetto tra le mani strette a pugno e stremate da un continuo, incessante movimento a mo’ di lavaggio ha avuto la sua prima diagnosi a 50 anni. Da bambina era bella, si sviluppava bene, a un anno stava in piedi e camminava da sola, poi l’arresto dello sviluppo, poi la regressione delle abilità acquisiste: camminare, stare in piedi, comunicare con qualche parola e la perdita dell’ uso delle mani. La comparsa dell’ epilessia fino alla totale dipendenza dall’ adulto per ogni azione della sua vita. Il rancore sordo era rivolto contro le ostetriche che avevano condotto male il parto, contro i dottori che non avevano riconosciuto i segni di una paralisi cerebrale. Tutto questo per 50 anni quando finalmente è arrivata la diagnosi di malattia genetica rara: la sindrome di Rett, una delle 6000 malattie rare oggi conosciute. Ognuna di queste è rara perchè ha una frequenza inferiore a 1 caso su 2000 nati, altre sono ancora più rare, come la Rett (1 caso su 10000 nate) ed infine altre ancora di cui i casi conosciuti al mondo si contano sulla punta delle dita.

Malattie rare e malattie non diagnosticate interessano molte famiglie. Molto spesso dietro malattie che determinano un ritardo mentale grave o un comportamento autistico si nascondono sindromi rare non diagnosticate.

Le famiglie come i medici ed i bambini si sentono soli ed impotenti, sopravviene la depressione e una rabbia senza nome che non riconosce un bersaglio preciso ma si diffonde a raggera contro tutto il mondo. Perchè proprio a me? La rabbia che non trova sbocco finisce per rivolgersi contro di sé, fino a trovare il colpevole: noi stessi.

A volte invece la rabbia diventa energia, forza e lucidità che qualcuno mette a disposizione di altri, come Stefano che dona se stesso alla scienza o sua madre che fonda un’ associazione finalizzata alla ricerca e contribuisce alla scopera del gene avvenuta poi nel 1996.

La mamma dei quattro ragazzi è Presidente dell’ associazione SuXfragile. Le famiglie delle bambine e donne Rett fondano l’associazione “l’albero delle bimbe”.

Dal tentativo di metter insieme le forze di ogni piccola associazione nasce l’idea della costituzione di una Fondazione di tutte le associazioni che lo vogliano e che si propongano la costruzione di una rete, di lavorare insieme, di essere di riferimento per altre persone sole , di costruire una alleanza del bambino con la famiglia, con gli specialisti sanitari ed i servizi del territorio locale, come di centri internazionali. Occorre che la solitudine di ogni famiglia diventi amore ed a questo si ispira il nome della Fondazione: T.I.A.M.O.

(Dott. Giorgio Pini)

 

 

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